immagine di copertina itinerario Personalizzare la proposta per l’esperienza religiosa e spirituale da protagonisti 
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Personalizzare la proposta per l’esperienza religiosa e spirituale da protagonisti 

Fabio Rocchi

Presidente Associazione Ospitalità Religiosa

Si parla molto di turismo esperienziale e non convenzionale. Come si declina questo concetto, secondo Lei, nell’ambito religioso e spirituale?

Parlerei più di originalità, cioè di uscire dai binari del consueto turismo di massa per fare qualcosa di originale che ovviamente comprende anche un’esperienza. Noi teniamo molto a questo concetto di originalità e su di essa poggiamo anche molte nostre proposte; non parliamo di turismo religioso o turismo esperienziale, ma di un turismo dove si possono vivere delle esperienze originali. Il turismo non convenzionale, invece, per noi può essere considerato quello non massivo, diverso rispetto al classico gruppo che parte col pullman e va a San Giovanni Rotondo o che prende l’aereo per andare a Lourdes o in cui comunque si replica sempre lo stesso tipo di esperienza. Quindi, per noi tutto questo significa personalizzare la proposta originale in modo che il viaggiatore si senta in qualche modo protagonista di un’idea insolita, diversa da quella che viene proposta agli altri: un’idea che riguarda me come persona, pur inserito all’interno di una comunità religiosa. 

Ma cos’è nel concreto il turismo religioso? In quali ambiti si articola?

Questo è un aspetto su cui da anni si dibatte anche all’interno della CEI, che ha un Ufficio Nazionale per la Pastorale del Turismo. All’interno del “turismo religioso” io individuo tre settori. Il primo è il pellegrinaggio, ovvero il viaggio per motivi di fede: vado a San Giovanni Rotondo, visito la tomba di Padre Pio col mio gruppo, mi fermo per le mie preghiere o la mia esperienza di spiritualità, riprendo il pullman e torno a casa. Ho fatto un pellegrinaggio ed è una delle modalità di turismo religioso. Poi c’è un concetto intermedio o misto: se vado a Loreto con la mia parrocchia, poi integro il viaggio visitando i più bei luoghi delle Marche. Quindi si unisce in un unico viaggio l’esperienza di fede, che è alla base del viaggio, con un tour che mi permette di fare anche il turista. Come chi viene a Roma per andare in Vaticano, poi passa al Colosseo, al Circo Massimo, va a vedere il Quirinale, quindi mette insieme più esigenze. All’inverso, in questa forma mista di turismo religioso rientra anche il normale turista, che viene a visitare un luogo come Roma perché ha le possibilità di vedere tante attrazioni, alle quali aggiunge i luoghi di fede per una forma di rispetto devozionale. Viene colpito dai luoghi di fede in maniera inaspettata, perché non era questo lo scopo del suo viaggio. Il terzo ambito riguarda anche la nostra attività di ospitalità religiosa, quindi delle case religiose e non-profit dove si può dormire. Lo consideriamo turismo religioso perché l’ospite viene a contatto con una realtà religiosa che spesso non conosce, ma che gli lascia qualcosa nel cuore che porta a casa e che ha un valore aggiunto rispetto alla semplice visita dei monumenti e dei musei.

Qual è il profilo del turista religioso nelle declinazioni che ci ha illustrato? Rispetto al passato vede dei cambiamenti?

Ovunque tra i fedeli è evidente una differenza generazionale tra i giovani e chi è vissuto e cresciuto in un ambito più marcatamente religioso. Indubbiamente ora si sta facendo ogni sforzo da parte di diocesi, ordini religiosi e anche case di ospitalità per aprire il più possibile le porte ai giovani, affinché conoscano attraverso le comunità l’esperienza di fede. L’obiettivo è una semina che poi può produrre anche i suoi frutti; lo strumento è far conoscere ciò che oggi non si conosce, e cioè come si vive l’esperienza di vita religiosa, monastica, conventuale. Aprire di più le porte di quanto lo erano finora in modo da rappresentare il vero cambiamento. Quindi non è tanto il pubblico che cambia, ma le modalità di accesso a un contatto con la vita religiosa, in modo che i giovani possano conoscerne a fondo la realtà.

Qual è l’impatto che questa forma di turismo ha sui flussi nazionali o internazionali? 

Diciamo che per il turismo tradizionale è più facile avere i dati statistici. Nel turismo religioso, che è un concetto fluido, rientra spesso il viaggiatore che viene classificato dalle statistiche ufficiali come “turista” solo perché dimorante in un albergo. Il pellegrino, invece, è quello che viaggia esclusivamente per fede. Facciamo l’esempio dei cammini; c’è la Via Francigena, che nasce come cammino religioso, ma chi può dire quanti in realtà lo fanno per un motivo interiore di fede e quanti lo percorrono per fare una bella camminata? Da questo punto di vista, non avendo una raccolta dati del territorio che identifichi il turista religioso dal turista normale o da chi viaggia per altri motivi, noi possiamo solo raccogliere i dati delle strutture religiose non-profit che in Italia fanno ospitalità. Abbiamo calcolato complessivamente nel 2023 circa 5-6 milioni di ospiti per 20-25 milioni di presenze. Questo vuol dire una durata media di soggiorno di quattro giorni, in equilibrio tra chi ha la possibilità di trascorrere solo un weekend in un luogo religioso e chi invece trascorre una settimana col proprio gruppo oratoriale, parrocchiale o scoutistico. È comunque un dato sottostimato, perché non sappiamo qual è la realtà globale dei gruppi o delle persone che si muovono per lo stesso motivo, ma senza registrarsi come tali.

E dal punto di vista della spesa

A inizio 2023 abbiamo testato le case di Roma e la media a persona in una camera doppia con colazione era di 35 €, quindi c’è un effettivo risparmio rispetto all’hotel. Questo consente soprattutto alle case di riempirsi, pur in presenza dei vincoli pubblicitari e commerciali rispetto agli hotel: non possono fare pubblicità, non possono usare Booking, non possono stare negli stessi ambiti commerciali dove gli hotel si propongono. Per questo noi abbiamo creato un portale solo per loro, in modo che non venga violata la norma e quindi loro si possano promuovere. Chi usa questi portali sa già che entra in un ambito religioso e sa già che anche le tariffe saranno più adeguate rispetto a quelle di un hotel.

Questo tipo di turismo per il sistema Italia cosa rappresenta?

I dati complessivi del turismo religioso per l’Italia sono certamente importanti perché l’Italia è un unicum rispetto agli altri Paesi. Sono più di 400 gli ordini e congregazioni religiose in Italia che hanno case di ospitalità e questo già di per sé complica le rilevazioni. Poi sono ordini religiosi che all’interno hanno le case di ospitalità, ma anche tutte le altre attività, quindi quelle negli oratori, nelle missioni, le opere sociali, assistenziali. Quasi sempre la parte di ospitalità e turistica di un ordine religioso è una parte marginale dell’attività. Quindi in realtà uno dei motivi su cui poggiamo la promozione verso il pubblico indistinto, oltre alla convenienza economica, è il gesto di solidarietà inconsapevole, con il quale delego all’ordine o alla congregazione, la gestione della “catena della solidarietà” che attivo con la mia presenza. Sappiamo che la ricettività religiosa copre circa il 7% della ricettività nazionale, ma se includiamo il movimento complessivo del turismo religioso il dato è molto più rilevante.

Cosa può aiutare a incrementare ulteriormente questa crescita?

Una più ampia apertura agli ospiti. Queste comunità devono aprire davvero a tutti, pur lasciando libere le persone di gestirsi. Ad esempio, abbiamo attivato un’esperienza “Viaggio da sola”, selezionando una serie di strutture in Italia, religiose e non-profit, che per loro conformazione anche fisica garantisce alle donne che viaggiano da sole la massima sicurezza. Ci sono professioniste, avvocati, ingegneri o le studentesse che vanno a studiare in un’altra città: non cercano un appartamento con altre colleghe, ma trovano maggiore sicurezza nelle nostre strutture. Abbiamo fatto lo stesso ragionamento con il settore del wedding, cioè tutte le strutture di turismo religioso che al loro interno hanno, oltre alla Chiesa, anche il ristorante, un parco, il parcheggio, la possibilità di dormire e tutti gli spazi per organizzare un matrimonio senza spostarsi da una location all’altra. Sono strutture che già esistono, però vanno proposte al pubblico con una visione diversa. E qui s’inserisce anche la comunicazione. Noi puntiamo su due canali ben precisi: da un lato, i media di ispirazione cattolica, che possono stimolare la conoscenza del nostro mondo, dei 200mila posti letto in oltre 3mila strutture sparse in tutta Italia; e dall’altro, colmare il distacco tra mondo laico e mondo religioso. Un lancio d’agenzia, un passaggio in TV significa stimolare la curiosità di chi non conosce l’ospitalità religiosa ma potrebbe un domani averne un contatto e trarne un’esperienza positiva.