immagine di copertina itinerario Cammini e itinerari come strumenti di scoperta dell’Italia rurale
foto Daniele Vadalà

Cammini e itinerari come strumenti di scoperta dell’Italia rurale

Daniele Vadalà

Funzionario architetto presso il Ministero della Cultura

Il turismo esperienziale non convenzionale legato ai cammini e alle realtà rurali sta vivendo un’attenzione costante negli ultimi anni. Cosa significa nello specifico “turismo dei cammini”?

Questo tipo di turismo è strettamente legato non tanto a determinate mete, ma alle modalità di trasporto a cui ci si appoggia che diventano esse stesse parte del viaggio. Da questo punto di vista, il treno può essere considerato per molti motivi un mezzo di trasporto “esperienziale” estremamente commovente; ma anche un mezzo molto ordinario come la metropolitana può esserlo, a maggior ragione quando le stazioni si caratterizzano per essere dei gioielli mirabilmente incastonati nel tessuto urbano, come nel caso di Baixa-Chiado a Lisbona o Salvator Rosa a Napoli, progettate rispettivamente da Alvaro Siza nel 1998 e Alessandro Mendini nel 2001. Ma può essere altrettanto commovente prendere il treno alla stazione Ostiense una domenica mattina di fine novembre e osservare il Tevere svegliarsi, con i vapori che risalgono segnandone il corso per ritrovarsi dopo un paio d’ore a Bomarzo, insieme al personale che monta in servizio per curare la manutenzione del Sacro Bosco. Anche per questi semplici aspetti, ritengo che il turismo dei cammini sia un’esperienza mista di ordinario e di straordinario.

È possibile classificare le diverse forme di turismo dei cammini? Quali le tendenze più recenti emerse?

È difficile operare una classificazione rigida del turismo dei cammini, in quanto questa modalità di viaggio – che per molto versi avvicina il viaggiatore moderno al viaggiatore del passato, dal pellegrino che affrontava la Francigena verso Roma e la Terrasanta, fino all’aristocratico che a partire dal XVIII secolo si spingeva ben più a sud sulle orme della classicità – è di per sé ibrida, aperta alle occasioni del viaggio.
Basta leggere alcuni passi del Viaggio in Italia di Goethe per rendersi conto dell’estrema varietà di notazioni dello scrittore tedesco, dalle forme del paesaggio alla botanica, dalla geologia alla descrizione dettagliata delle architetture, insieme ad un’attenta osservazione di tipi umani ed usanze. Credo ci sia una tendenza emergente a riscoprire gli antichi cammini, non solo le vie di pellegrinaggio ma anche le percorrenze tradizionali, proprio come la Trazzera Regia lungo la quale si mosse Goethe o la rete dei tratturi che innerva il paesaggio di Abruzzo, Molise, Basilicata e Puglia, le regioni del sud maggiormente interessate dalla pratica della transumanza, dichiarata nel 2019 dall’Unesco patrimonio dell’umanità. Questi percorsi, che si prestano ad essere percorsi in diversi modi – a piedi, in bicicletta, a cavallo, oltre che ovviamente in auto o in moto – rendono evidente come il turismo dei cammini sia per sua natura sfuggente a precise delimitazioni, presentando aspetti che possono essere ricondotti di volta in volta a motivazioni diverse, di carattere culturale, rurale, alimentare e gastronomico, religioso, naturalistico e finanche sportivo.

È possibile profilare il turista dei cammini?

Più che profilare il turista dei cammini, penso sia più utile individuare bisogni specifici, in rapporto alla possibilità di offrire servizi personalizzati che tengano conto delle diverse abitudini, preferenze e condizioni economiche, sociali o di salute di chi si mette in viaggio. Spesso siamo assuefatti all’idea che il turista sia diverso dal residente e che vada trattato in modo diverso. In realtà, il turismo dei cammini tende ad avvicinare le due categorie: il turista e l’abitante sono due facce della stessa medaglia, condizioni temporanee con cui scegliamo di rapportarci al contesto intorno. Anche per questo motivo, lo sviluppo e la promozione di itinerari turistici è senz’altro essenziale, ma deve nutrirsi di una socialità più ampia e vera di quella limitante di certe enclaves minacciate dal fenomeno dell’overtourism. In altre parole è essenziale, in un’ottica di turismo esperienziale non convenzionale, che l’itinerario proposto possa nutrirsi della ricchezza relazionale che è tipica di aree urbane o contesti territoriali comunque vibranti. Oggi le potenziali destinazioni sono talmente diversificate che la promozione turistica deve diventare prassi ordinaria, in collegamento diretto con la programmazione strategica a livello locale, regionale e nazionale e in coerenza con altri strumenti settoriali operativi quali i programmi di sviluppo rurale e i piani paesaggistici regionali.

Quali sono i casi che ritiene più virtuosi di “intreccio” tra diverse forme di turismo esperienziale con quello dei cammini? E quali quelli dal maggiore potenziale ancora inespresso?

Mi sembra di osservare una tendenza ormai consolidata del settore turistico ad intercettare motivazioni che possono essere anche piuttosto diverse ed in cui il turismo esperienziale e dei cammini può assumere un ruolo di primo piano proprio per la sua possibilità di accomunare contesti geografici anche piuttosto distanti, oltre che ibridare campi d’interesse diversi. All’interno di questa fondamentale qualità del turismo esperienziale, credo che assisteremo in futuro a manifestazioni di segno opposto, con tendenze di tipo centripeto che saranno in qualche modo compensate e bilanciate da altre di tipo centrifugo. Nel primo caso è evidente ad esempio che le città d’arte continueranno a costituire importanti poli d’attrazione, ma è prevedibile che il turista meno convenzionale possa stancarsi delle file d’attesa sotto il sole, decidendo di rimandare le visite d’obbligo a stagioni più favorevoli e cominciando a considerare scelte più ‘erranti’, meno gettonate ma forse più gratificanti pur rimanendo in ambito urbano. Questa tendenza a rendere più profonda l’esperienza di visita ai maggiori centri storici potrà essere in ogni caso controbilanciata da una riscoperta degli itinerari rurali, non solo intorno alle più grandi aree urbane, ma anche in quei contesti più remoti, riconosciuti circa un decennio fa come “aree interne” nell’ambito delle politiche di coesione territoriale, indirizzate a colmare gli squilibri territoriali del nostro Paese. Un esempio particolarmente significativo in questa direzione è quello dei cammini della transumanza che, come si è detto, costituiscono la testimonianza materiale di quella che fondamentalmente è un’antichissima pratica zootecnica, ma anche un complesso di testimonianze materiali ed immateriali profondamente impresse nel paesaggio, in particolare delle regioni meridionali. In ogni caso, sia che si tratti di arricchire in senso esperienziale la visita alle città d’arte e siti archeologici più noti o invece di spostare parte dell’attenzione verso aree periferiche ancora inesplorate, sarà necessario investire risorse ed attenzioni per diversificare i flussi turistici temporalmente con la destagionalizzazione, ma soprattutto spazialmente immaginando nuove forme collaborative tra gli stakeholder presenti nel territorio, in una consapevole sussidiarietà, tanto orizzontale che verticale, di reti di servizi non solo prettamente turistici, che facciano sentire il turista come un abitante, seppure occasionale.

In che modo si possono promuovere queste specifiche forme di turismo? Quali i linguaggi e i formati che ritiene più efficaci?

I decenni che stiamo vivendo sono fortemente segnati da una centralità della narrazione. A me piace sottolineare il ruolo della radio, dall’entusiasmante stagione delle “radio libere” degli anni ’70 ai casi recenti di web-radio, alcune proprio mutuate da quelle esperienze del passato. Voglio citare il caso di Radio Vulture che attraverso un intelligente approccio autoironico e beffardo coniuga una programmazione musicale di ampio respiro ed altissima qualità con la narrazione attenta di ciò che si muove nel territorio, come il progetto “I Genii del Vulture”, promosso dal comune di Rionero per valorizzare il territorio straordinario del complesso vulcanico del Vulture e dei laghi di Monticchio attraverso un percorso molto articolato di educazione ambientale ed arte pubblica, a partire dal tema dell’acqua di cui il comprensorio è ricco. Oppure, penso all’esperienza significativa della “Mappa Parlante di Aquileia” di Radio Magica Onlus, che ha reso fruibile a tutti il patrimonio culturale e paesaggistico – che è parte della lista Unesco – di questa storica cittadina di confine, sotto forma di storie e curiosità accessibili a tutti grazie ai formati audio, video e video LIS, cioè associato alla lingua dei segni. È un piccolo esempio che però mi sembra vada nella direzione giusta e che ben si presta al turismo esperienziale e dei cammini.