immagine di copertina itinerario La televisione intercetta l’emozione di un territorio
foto Carlo Gorla

La televisione intercetta l’emozione di un territorio

Carlo Gorla

Direttore Promozione e Sviluppo Programmi Informazione Mediaset

In che modo la televisione, mezzo broadcast e generalista per eccellenza, può raccontare il territorio italiano nelle sue declinazioni di viaggio meno convenzionali e più di nicchia? Quali contenuti e modelli di racconto privilegiate?

Il racconto del territorio nazionale è, per me, la vera narrazione che rimanda al romanzo popolare italiano, una forma di comunicazione che rappresenta storia, cultura, tradizione, ma anche curiosità e divertimento. Si tratta di una narrazione fatta di storie d’eccellenza, posti da scoprire, persone speciali da conoscere, lavori artigianali unici, prodotti enogastronomici tipici del nostro paese, sapori prelibati e profumi inconfondibili. Questa Italia noi la raccontiamo con diversi prodotti; uno di questi è, innanzitutto, Studio Aperto Mag, il magazine di approfondimento di Italia 1 che in questi anni ha dato visibilità a moltissimi di questi luoghi non convenzionali. Penso a un caso che mi piace sempre citare, quello di Castelsaraceno in Basilicata e del ponte tibetano più lungo del mondo; un paesino sconosciuto, una regione poco esplorata dal turismo di massa, che è diventato famoso anche grazie al nostro servizio. In Italia ci sono moltissimi luoghi così, gioielli che il territorio spesso fatica a comunicare e il nostro compito è quello di andare a scoprirli e divulgarli a un pubblico più ampio. È ancora il vecchio mestiere del buon giornalista che sa scovare le storie e trovare la chiave giuste per raccontarle. Con il web, i social e gli strumenti digitali è possibile viaggiare stando fermi; poi però c’è bisogno di chi va sul luogo a raccontarti la curiosità, inserendo la giusta dose di spettacolarizzazione che tante volte il web non riesce a trasmettere. Il lavoro di scrittura, anche rappresentato attraverso le immagini, è fondamentale. Saper scrivere la sequenza delle immagini significa narrare emozioni diverse.

Sempre più oggi i contenuti viaggiano su più binari paralleli, quelli della comunicazione tradizionale e quelli della comunicazione digitale; voi come interpretate questa integrazione? E quali messaggi volete trasmettere?

Diciamo che uno degli esempi più recenti va proprio in questa direzione: una puntata monografica di Studio Aperto Mag sulla Lombardia, in cui siamo andati a raccontare cinque aree della regione tessendo cinque tappe fondamentali: Natura, Arte e cultura, Borghi, Enogastronomia e Tempo libero, che poi sono etichette che rappresentano il patrimonio di ogni regione italiana; da qui è nato un format che è poi diventato un appuntamento digital su Infinity, la piattaforma streaming di Mediaset, con il brand Italia da scoprire. Queste storie, questi cinque servizi sono collegati a un titolo; da esplorare (Natura); da vedere (Arte e Cultura); da scoprire (Borghi); da assaggiare (Enogastronomia); da fare (Tempo Libero, Sport); all’inizio di ogni singolo servizio c’è una cartina della regione che evidenzierà la posizione geografica del posto oggetto del racconto. Sono parole che portano a un livello di comunicazione multisensoriale. Ma il territorio lo raccontiamo anche attraverso altre modalità: per esempio, per noi raccontare l’Italia significa anche raccontare le persone e la loro eccezionalità ed esclusività. Il programma Pensa in grande, per esempio, racconta le storie dei grandi imprenditori e il ruolo del territorio è fondamentale; abbiamo fatto più di venti puntate e quando andiamo con gli autori a incontrarli, sempre chiediamo loro di raccontarci dove vivono, da dove vengono, che cosa hanno preso dalla loro terra, dalla gente, della cultura del luogo. E ti accorgi che la storia di un’impresa è sempre anche la storia del suo territorio. Mi viene in mente il caso di Riva 1920 di Cantù o della grappa Nonino; il territorio è centrale ed è fondamentale per noi andare a vederlo e raccontarlo.

Quali nuovi linguaggi e nuovi formati si possono immaginare per raccontare questi aspetti del territorio e incentivare le pratiche di turismo esperienziale e non convenzionale?

Penso che oggi non sia necessario inventare nuovi formati, piuttosto parlerei dell’utilizzo di nuovi linguaggi o di altre tecniche di diffusione; il racconto del territorio con l’obiettivo di incentivare il turismo lo devi seminare all’interno del palinsesto esistente, nei programmi che già ci sono, facendolo passare come un flusso naturale di un’altra narrazione, così il telespettatore può essere informato da qualsiasi prodotto, che sia un approfondimento, un programma di genere oppure anche un Telegiornale. Io amo usare spesso uno slogan: “L’ho visto in tv”. O meglio ancora: “Se non comunico, non ci sono”. Insomma, la forza della televisione, e quindi dei suoi linguaggi, è ancora fondamentale. Inoltre, se un tempo avevi la necessità di raccontare tutti i dettagli di una storia o di un’esperienza, oggi puoi anche permetterti di non farlo perché, quando guardi la tv e vivi un’emozione, contemporaneamente stai già cercando un’informazione sul tuo smartphone. Ciò che conta è far passare il messaggio, generare curiosità, poi sarà lo spettatore a completare quell’emozione. Il territorio, però, deve essere pronto a recepire questo surplus di attenzione e visibilità. Ecco, io penso che la televisione debba fare sostanzialmente questo: dare l’opportunità a più gente possibile di conoscere quel territorio e far permanere nel tempo quella notorietà; i territori devono saper intercettare questa notorietà, declinarla secondo le loro esigenze, sfruttare questa conoscenza per comunicare sé stessi ai target che desiderano colpire. È un po’ quello che a noi succede con TgCom24; non è tanto l’ascolto televisivo la sua forza, ma il fatto che imprese e investitori lo riconoscono come brand affidabile e riconosciuto per trattare determinati argomenti. Noi riceviamo molte richieste di essere “coperti” da TgCom24, ma perché poi ciascun soggetto può estrarre la clip e veicolarla sui propri canali dicendo: “Ecco, parlano di noi”. Con il territorio, il processo è lo stesso; le realtà locali devono sapere che la televisione fa il suo mestiere di amplificare un messaggio, poi quello stesso messaggio va gestito e declinato secondo i bisogni di promozione di un territorio. E poi spesso noi raccontiamo il territorio anche per vie parallele, ancillari; penso a un programma come Dalla parte degli animali, dove i luoghi non sono i protagonisti centrali, ma chiaramente sono molto presenti.

Come si realizza il giusto equilibrio tra informazione, divulgazione e intrattenimento quando si vuole raccontare un luogo e stimolare una conoscenza della destinazione in termini turistici?

Quello che conta è l’aspettativa, per cui molto dipende da dove e a chi vuoi arrivare con la tua comunicazione. L’aspettativa del pubblico è il motore dell’innovazione; la televisione vive di routine, ma di una routine che deve sempre e costantemente essere aggiornata. E lo stesso vale per la comunicazione del territorio; ci sono casi di città e di territori che non hanno bisogno di promozione, eppure continuano a essere veicolati in modalità sempre differenti, individuando nuove forme di racconto, intercettando pubblici sempre diversi. Anche la promozione del territorio che passa dalla televisione passa dalla stessa regola. La televisione ti dà lo stimolo, l’emozione, l’informazione, poi ciascuno può approfondire la conoscenza in molti altri modi diversi. Magari realizzando il “sogno” e concludere l’esperienza andando a visitarlo di persona.